Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog

Il Maggiolone giallo

(Questo che segue è il terzo di quattro piccoli racconti, ispirati a storie vere della vita di un mio amico di qualche tempo fa. Nomi e luoghi sono stati cambiati.)

Bassolino non sapeva che mamma’ aveva deciso di andare a Bologna a trovare mia sorella, quando impose l’isola pedonale praticamente a tutta Napoli.

- Di qui lei non può passare. C’è divieto. L’isola pedonale … non ascolta il telegiornale?

No, altrimenti non stavo qui a parlare con questo mamozio.

- Come? L’isola pedonale inizia da qui? Ma se siamo a kilometri dal centro. Eppoi io devo solo arrivare alla Stazione Centrale!

Sbottai in faccia a vigile urbano. Già eravamo partiti in ritardo da casa. In quel fine aprile torrido. Avevo sudato ed imprecato sul restringimento prima di S.Giovanni. Poi, l’Isola Pedonale come Fine Corsa.

- Scusatemi tanto, però io dovrei solo accompagnare mia madre alla stazione per prendere il treno per Bologna. Ha una certa età ... roba di una mezz’oretta sì e no ...

Mentre pensavo alle valige. Ad alto peso specifico.

- Mi spiace, ma non sì può!

- La prego!

- Parcheggi qui e prosegua a piedi!

Che inusuale fermezza! Come ha fatto Bassolino a motivare così i vigili urbani?

- Edoa’ il treno parte ...

- Mamma, ti prego.

E mo’? Giro l’auto. Cerco un parcheggio. Adocchio un buco accanto ad un maggiolone decappottabile giallo. Ma giallo giallo!

Ardua manovra: i maggioloni sporgono! Il tizio al posto di guida, tutto in bianco, mi osserva senza preoccupazione.

-Edoardo ... io quasi quasi non ci vado più a Bologna.

- Chee? Coi denti ti ci porto, ma ti ci porto.

Parcheggiamo. Insomma: incastro la mia auto tra il maggiolone e qualcos’altro. Ripromettendomi di farmi ringraziare dal mio assicuratore per aver evitato accuratamente di arrecare danni a terzi.

- Edoardo, a mamma', come ti senti?

- Mamma, ti prego.

Mi carico delle valige. Due, più un borsone. Calcolo approssimativamente che ho mezz’ora di tempo e un kilometro di strada a piedi. Con mamma’ e le valigie.

C’incamminiamo.

- Edoa’, che caldo che fa. Eh?

- Mamma, ti prego.

Grondavo. Al caldo, si aggiunge la rabbia. Sono costretto a togliermi il gilet di zephir a rombi pastello. Il peso totale delle due valige più borsone supera quello del mio corpo.

Ma mamma’ che si porta, le pietre?

Sono paonazzo. Fa ancora più caldo, la pressione corporea sale. Boyle e Mariotte ... perché mi ritornano in mente? Sento un impellente bisogno di togliermi anche la camicia. Un bisogno più forte della mia naturale decenza. Io. In canottiera della salute. Peggio di Bossi. Sono ‘subornato’ (Troisi lo diceva?) dalla vergogna.

- Edoarduccio, a mamma ...

- Mamma, cammina! Il treno parte.

- Edoardo, ti prego …

- Mamma, ti prego io.

Avremmo potuto anche tornare indietro, a casa. Ma io continuavo ad essere comunque contento che mamma’ partisse.

L’asfalto era lucido. L’orizzonte tremolava. La stazione, quanto lontana era la stazione?

Cerco di ricompormi. Siamo arrivati. Dov’è il check in?

- Edoardo ...

- Mamma corri...sali...

L’ultimo sforzo e sono sul treno con le valigie. Sulle valigie, sotto le valigie. Non so. Mi gira tutto intorno.

- Mamma, siedi.

- Edoardo!

- Mamma, che c’è?

- Il portafogli. Non trovo più il portafogli!

- E la borsa?

- Sì, la borsa è qui, ma il portafogli non c’è ...

- Fammi vedere ...

Nella borsa, tranne il libretto sanitario, le foto dei nipoti, i fazzolettini di carta, le chiavi di casa, due paia di occhiali, le caramelle all’anice, i numeri di telefono importanti (due dozzine), la carta d’identità, alcune banconote da diecimila infilate nei vari taschini - per confondere ed innervosire gli scippatori (?) - , non c’era il portafogli. E nel portafogli, oltre ai soldi, c’era il biglietto.

- Oddio, Edoardo, non ho abbastanza soldi per ricomprarne un altro!

- No mamma, a casa non torni. Tu vai a Bologna. Devi andarci!

Non foss’altro per la fatica che ho fatto a portare le valigie. Esagero in quella che Eco chiama perlocutoria della scatotecnica.

Mamma comincia a temere che l’amor filiale sia solo una balla.

E' partita, finalmente è partita. Mi sento sollevato. Anzi sollevatissimo. Fa caldo e il pullover di lana zephir è inutile. Vabbè continuiamo con la maglietta della salute, tanto è sempre una normale tshirt bianca, no?

Arrivo all'auto. Il maggiolone giallo-ma-giallo-giallo è ancora lì. Solo che ora c'è uno al posto di guida. Vestito di bianco candido. Capelli di un biondo sospetto. Mah.

Sono vicino alla portiera della mia piccola auto (che però è color glicine, eh) per aprirla, quando sento - Ehi, bel maschione...

'Maschione'? A me? Che a pieno carico non arrivo a 50 kili? Fassino mi sarebbe fratello, in altre parole.

Ma santiddio, Bassolino, l’isola pedonale la dovevi fare proprio quando mamma aveva deciso finalmente di andare a trovare mia sorella a Bologna, togliendosi dalle palle per tre settimane?

Tag(s) : #mini racconto, #Napoli
Condividi post
Repost0
Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti: