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Jakì, Jaki, mais va et mange des brioches!

È solo l’ultimo (solo in ordine di tempo, eh, perché la categoria è affollata) di una serie di inquilini di palafitte mentali, staccati cioè dalla realtà. È parente prossimo – intendo cognitivamente – al Padoa-Schioppa dei bamboccioni, alla Fornero dei choosy, al Michel Martone (carriera politica alla Jalisse) degli sfigati.

Jaki Elkann, professione: nipote dell’Avvocato buonanima. Non c’è bisogno di descrivere come sia stata e tuttora sia dorata, anzi platinata, la sua vita. Appartiene a quell’un per cento di ricchi che detiene quasi la metà dei profitti dell’intera popolazione italica. Anche dei beni e dei soldi che stanno all’Estero e di cui non sappiamo molto, tanto che sua madre intentò causa ad alcuni parenti perché c’era roba nascosta fuori dell’asse ereditario, di cui pretendeva quota. No, non è gossip: serve a dare la misura di quanta sfacciataggine è detenuta – assieme ai soldi – da questa categoria (a)sociale, che ricomprende questo imberbe (nonostante i suoi 37 anni di età) giovinotto. Raramente fa una sortita, ma quando viene fuori, o si distingue per ebetismo, o per scemità. Oddio, non è che l’Esternatore Creativo e sfacciato, il fratello Lapo, sia migliore, ma quest’ultimo è diventato una macchietta, mentre il fratello maggiore appartiene alla folla degli insipienti in regimental. Ma dove vive, Jaki?

Faccio la brava e me lo immagino in una cofana, tra le nuvole. Il riferimento, sfacciatissimo, è ad Aristofane. Lui, nelle cofane in cielo, ci metteva i sofisti, gente – cioè – staccata dalla realtà. Io, immodestissimamente, ci piazzo Jaki. Ier l’altro, Diego Della Valle ci è andato giù molto duro ed offensivo, ma tra loro due è in atto un’aspra contesa intorno al Corsera ed il commento dell’imprenditore marchigiano (alla partita del Franchi gomito a gomito con Renzi) è strumentale ed un po’ troppo populista. Però, però, però il pensiero e le parole di Della Valle non sono lontani dai nostri, quaggiù, che viviamo sotto le nuvole e sotto alle cofane di questi maitre-a-penser che ritengono che i loro soldi diano loro anche il diritto di profferire scempiaggini offensive.

In effetti, i ragazzi italiani sfigati lo sono, tuttavia non nel senso che intendeva il Martone di cui in premessa. Sono sfigati perché sono l’oggetto dello scherno di molti VIPs (che dite se la ‘I’ di VIP non stesse più per ‘Important’, né ‘Intelligent’, bensì qualcos’altro?), lontanissimi dalla realtà, la quale ci consegna numeri e dati devastanti.

Il tasso di disoccupazione giovanile supera il 50% in molte aree del sud, la povertà è in crescita dal 2008 (fonte: lavoce.info), il ceto medio è svampato.

“Le persone che sembrano meno inclini a valutare il lavoro in se, anche se pagato molto poco, sono i benestanti, i vincitori: viviamo in un’epoca di miliardari arrabbiati, furiosi se qualcuno suggerisce che il loro benessere ed il loro lusso non spetta loro per acclamazione.” Questa frase è tratta da un op-ed di Paul Krugman (editorialista economico) sul NewYorkTimes di dieci giorni fa. Krugman si riferisce alla strana circostanza per la quale i Repubblicani USA predicano sul fatto che il lavoro è fondamentale, qualunque esso sia, pur tuttavia negando ai lavoratori con salari da fame la dignità, anzi bollandoli come pigri, lamentosi, vittimisti. Mutatis mutandis, è lo stesso impianto valoriale che spinge ricchi&fortunati ad essere così sprezzanti con chi non ha, con chi ha quasi nulla o con chi possiede giusto il poco per sopravvivere maluccio. C’è un gusto inutilmente sadico a prendersela con gli sfortunati, perché a questo punto è solo questione di sfortuna – di sfiga, ecco – a nascere in Italia. Quando la settimana scorsa l’ISTAT se ne uscì con il dato dei sette milioni di under 35-over 18 ancora in casa con i genitori (pari al 61% dei ragazzi non sposati) e che, sfiniti da sfortuna, crisi economica e cittadinanza (vivere in un’Italia che per vent’anni ha votato il partito delle promesse-mai-realizzate il cui leader è stato riabilitato informalmente, salendo sabato al Quirinale. Che ce tocca de vede’), sognano lavori come cameriere, barman, assistente alla persona, promoter, cuoco, agricoltore, artigiano. Altro che sfaticati di Jaki Elkann. I sogni molto minimal dei ragazzi italiani sono dovuti anche all’essere schiacciati verso il basso dalle pratiche raccomandative e non-meritocratiche, dalla rete di sostegno che i benestanti attuano per salvaguardarsi come classe, nonché dalla chiusura totale dei cosiddetti ascensori sociali.

La situazione dei giovani italiani è codesta, ma non per colpa loro. Non è vero che non hanno capacità o voglia. È che ti passa, la voglia. Me ne sono occupata già tempo fa (qui: http://www.orticalab.it/I-figli-mortificati-e-il-senso-di, qui: http://www.orticalab.it/Universita-e-numero-chiuso-cui, e qui: http://www.orticalab.it/E-terra-desolata ), cercando di riflettere sulle circostanze socio-economiche che hanno reso cronica la disoccupazione giovanile in Italia negli ultimi decenni (è una situazione che ho vissuto anche io e che vivrà ancor peggio mio figlio), ma che ora vive un’acuzia letale.

Giusto per finire, Krugman – a promemoria per tutti i politici italiani che ci hanno creduto – demolisce come menzogna stratosferica la flessibilità e la de-regolamentazione del mercato del lavoro, considerato che anche negli USA tale deprezzamento del lavoro, in termini economici e valoriali, ha condotto al rifiuto generalizzato dei lavori con paghe da fame. Ricordo che tra le poche cose che accomunano l’Italia e gli USA c’è quest’ampissima forbice sociale tra ricchi e poveri, in due Paesi in cui la mobilità sociale è paralizzata. Obama ci ha messo una pezza, aumentando per decreto il costo orario minimo del lavoro, ma molti – stesso genere di VIPs di qualche paragrafo fa – hanno più semplicemente inveito contro gli sfaccendati e i pigri, privi di voglia di lavorare. Come ha detto Jaki Elkann, di professione ereditiere.

Tag(s) : #disoccupazione, #giovani, #Jaki Elkann
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