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Felicità è fotografarsi

~~Dunque, vi ho lasciati ieri con il dubbio — velato — che forse felicità sia fotografarsi i piedi. Deve essere vero, perché molti si fotografano i piedi. Molti, però, fotografano anche colazioni/pranzi/cene/brunch/aperitivi da sogno. Ci sono anche i fotografi della domenica mattina, molto patinati invero, con caffè e croissant (ma anche french toast e fruit juice) in location glam (chissà se è proprio la loro, quella camera da letto nelle foto che postano). Ci sta ’sta cosa di Instagram che consente l’inserimento di filtri, sì da trasformare le nostre foto quotidiane in eventi da invidiare. Anche il solito caffè al bar prima di timbrare in ufficio diventa uno spettacolo.

Piccole felicità di polistirolo, scriveva Brizzi in un romanzo cult, "Jack Frusciante è uscito dal gruppo". Piccole felicità di pixel, possiamo sicuramente scrivere adesso. Tra le cose che arrecano felicità, dunque, possiamo dunque metterci il fare e farsi foto (anche ai piedi) con l’i-coso. Mi ricordo che diversi anni fa, prima dei telefonini integrati nelle fotocamere, quelli della Polaroid l’avevano già capito. Infatti, una delle ultime pubblicità della famosissima (e costosissima in termini di pellicola) Land Camera (noi in famiglia l’avevamo, ve lo giuro. È quella nella foto in alto) verteva sulla possibilità di fare le istantanee alle cose che volevamo acquistare per ricordarci, per confrontarci, per condividere con altri l’idea.

Condividere i desideri attraverso immagini è uno dei capisaldi delle nostre attività umane e con gli i-cosi ora è stramaledettamente facile e veloce. Volevo proprio vedere se avremmo fatto migliaia di scatti se avessimo dovuto pagare salata la pellicola auto-sviluppante. Diversa la questione di fotografarsi. Si chiamano selfie, ovvero l’apoteosi pubblica del narcisismo. Ora i selfie si fanno anche dal bagno di casa, ma vorrei solo ricordare che la pratica di fotografarsi nacque per testimoniare di essere/essere stati in un luogo. I primi selfie erano scattati sotto ai cartelli stradali o accanto ai monumenti famosi e l’immagine di se stessi non era preponderante rispetto alla cornice.

Ora è l’inverso, anche perché a dimostrare di essere stati in un luogo ci sono sempre i servizi di geo-localizzazione. Insomma, come potete constatare, tutta questa nuova tecnologia alimenta il Se, con allusioni (o illusioni?) ad una felicità in atto. Comunque, tutto ciò che a noi sembra essere la cattura di una felicità diventa infelicità o fastidio per qualcun altro. Che facciamo? Spegniamo o ci mettiamo ad instagrammare di più? Se per decenni abbiamo irriso alla pratica di riunire gli amici a cena per costringerli a visionare le diapo delle nostre vacanze, ora, invece, siamo tutti ben felici di propinare istantanee ogni giorno, e se si può anche a cadenza oraria.

Cosa è cambiato? Semplice: si è allargata la platea e si sono alleggeriti i costi. La tecnologia ha alimentato una naturale tendenza all’innesco dell’invidia, mostrando (o apparando) il bello ed il glam di se stessi. Pare sia annoverata tra le felicità personali. La tendenza a comunicare per immagini è preponderante tra i giovani. Tanto che l’uso di Instagram sta aumentando proprio in quelle fasce. Si è scoperto che i giovani si annoino su fèisbuk e stiano traslocando su altri social. In un editoriale sull’HuffPo (USA) di aprile scorso, Bianca Bosker (una che scrive parecchio di tech e social) ha riportato un’opinione comune tra i ragazzi: Facebook è roba da matusa. Ma non è finita qua. Ha anche detto che i social sono roba stagionale, nel senso che passeranno. Magari l’onda è un po’ lunga, ma finiranno, soppiantati da altro. Per quello che riesco ad intuire (scrissi un libro un paio di anni fa "Come Pesci nella Rete", in brossura e in formato digitale), i social più ’scritti’ Facebook e Twitter si trasformeranno in vettori di notizie giornalistiche, mentre le persone comunicheranno sempre più attraverso instant chat come Messenger. WhatsApp verrà inglobata definitivamente.

I giornali, purtroppo, tendono a sparire. I giornalisti precipiteranno in basso nella considerazione socio-economica. Non sappiamo bene cosa succederà, ma già ora si vive maluccio (ne parlo spesso, ci avrei scritto anche un altro libro, tuttavia vi consiglio di leggere questo post di un certo Staglianò. No, non è il Direttore. È un omonimo. Sono bravi uguale.) Dunque, visto che i social son roba stagionale, inutile cancellarsi. Basta aspettare. Aspettare che passi la mania e che le persone si stanchino. Sia di stare appiccicate agli schermi (è colpa dell’ossitocina che viene prodotta) che di rendesi infelici a guardare le foto degli altri. «The Economist» (oh, ragazzi, The Economist, mica baubaumiciomicio) ha lanciato un allarme mesi fa, intimando alla gente di riprendersi la vita perché l’uso dei social network rende le persone più infelici. Come se non bastasse la nostra simbiosi con gli i-cosi, da qualche mese è uscita una App che ci aiuta a decidere. Non mi dilungo perché ne ho già scritto qui.

Ora parliamo di rimedi, però.

Comincio con il condensato di un pipponcino letto su «Medium», che sarebbe la versione lunghissima di Twitter (stessi fondatori, i quali hanno compreso che la gente vuole leggere ed approfondire per disintossicarsi dalla velocità inibente dei tweet). Lo ha scritto un certo Julien Smith che fa il CEO da qualche parte, oltre ad essere scrittore-giornalista sul «NYT». Dice Julien che abbiamo esagerato con questa paura del giudizio degli altri da quando viviamo sui social. Tutto ciò ci fa star male. (Infatti, come antidoto finora non abbiamo potuto far altro che postare sempre più roba da innesco-invidia, giusto per controbilanciare.) Allora, eccovi qualche verità per smitizzare i social, la felicità e l’infelicità. In primo luogo, la gente giudica sempre e comunque. A prescindere. Sui social sembra che tale diffusa e goduriosa pratica sia più mirata e cattiva, ma c’entra molto l’anonimato e il filtro dello schermo. Voglio proprio vedere se de visu ci si permette di ripetere le stronzate che si scrivono in rete. In linea generale, vale la regola del "non ti curar di loro, ma guarda e passa" che si traduce con l’attuale "never feed the trolls". Insomma, non rispondete. Anche perché nel gran mare del web noi e le nostre pippe mentali non contiamo una cippa.

Seconda verità: non c’è proprio alcun bisogno di piacere a tutti. Fatevene una ragione.

Terzo: quelli davvero importanti sono coloro che vivono con voi, quelli che vi vedono ogni giorno. È il loro giudizio e la loro considerazione ciò che conta davvero.

Quattro: quelli che non si preoccupano del giudizio degli altri cambiano il mondo. Il resto rimane al palo. Julien, a questo proposito, ci consiglia di fare cose strambe per allenarci alle critiche, tipo vestirsi da folli, e vedere l’effetto che fa. D’altronde — detto tra me e voi — se riusciamo ad avere il coraggio di postare su fèisbuk nostre foto in pose bizzarre (o talvolta al limite della decenza) perché non dovremo avere il coraggio di farlo nella vita reale? È come se io andassi in giro per strada ad importunare la gente (tutta la gente) chiedendo loro "Ti piacciono i miei piedi nelle havajanas rosse?" Quasi nessuno sorriderebbe e alzerebbe il pollice. Sono convinta che tutti — anche mia madre — mi guarderebbero inorridita. Mia madre, inoltre, correrebbe a chiamare mia sorella per portarmi dal medico. Immediatamente, prima che il vicinato comincia a criticare.

Un’altra dritta è rimanere in silenzio. Nel senso di non postare e non commentare (manco un ’like’): dovete semplicemente rimanere a guardare cosa fanno gli altri. Estraniatevi (è una tecnica psicologica) e riuscirete a farvi molte risate.

L’ultimo avviso consiste nel non elucubrare. Non fatevi i film di cosa possa pensare la gente di voi sui social. Non siamo nessuno, anche se i social sono costruiti per darci l’impressione di essere il centro dello stagno dove noi buttiamo i sassi (i post e i tweet) per vedere quanto sono larghi i cerchi che si formano. Ma è uno stagno, ha limiti e confini. E, poi, spesso, puzza. Bisogna cambiare aria. Leggete di più Ortica, per esempio.

Nella prossima puntata, assieme ad un libro famoso di Martin Seligman, andremo alla scoperta dei metodi scientifici per diventare felici e vedremo pure se funzionano davvero.

Tag(s) : #felicità, #social network, #fèisbuk
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