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Noi, utenti-gregge

Succede che nella mia famiglia arrivi una lettera dalla Soc. Alto Calore – Servizio Acqua-Fogna-Depurazione (vd foto in gallery), in cui si segnala che la domiciliazione bancaria non è stata attivata correttamente e che, pertanto, il titolare dell’utenza deve contattare la Banca per correggere tale irregolarità. A sua volta – la Banca ha la responsabilità di inviare copia della disposizione corretta con l’indicazione dell’ABI, CAB e relativo numero di conto corrente.

La nota dell’Alto Calore, infine, si chiude con l’esortazione all’utente a contattare un numero telefonico [il centralino dell’Azienda, NdR] per ulteriori informazioni. Alla lettera, è allegato un bollettino postale di pagamento premarcato, con l’importo in morosità da pagare. Ma perché? Com’è successo che siamo diventati morosi?

Non c’è una firma, neanche digitale, bensì un generico “Servizio Utenze”. Tanto per fare le pulci, c’è qualche refuso di stampa e una ripetizione. Fosse per i refusi...

Preoccupati, i miei, mi delegano alla risoluzione dell’inconveniente. Il primo punto da chiarire è come mai la domiciliazione non è attivata correttamente, se sono anni che la bolletta dell’A.C. viene addebitata direttamente sul conto corrente bancario senza mai intoppi.

Mi reco alla Banca abbastanza caricata: se siamo diventati morosi è, dunque, colpa dell’Istituto di credito che ha interrotto la domiciliazione. Ritengo. Facciamo finta che per un inconveniente non riusciamo a pagare la bolletta allegata alla lettera, che succede? Ci mandano una cartella esattoriale? E mo’ mi sentono questi della Banca: li sbrano.

Il funzionario appena vede la lettera fa una smorfia. “Eh, sapeste quante ne sono arrivate di queste lettere!” E mi spiega che da maggio gli utenti A.C. stanno ricevendo avvisi di morosità perché l’Azienda in questione non si è allineata automaticamente ai nuovi standard SEPA e che comunque la Banca non deve fare niente perché non è responsabile del problema. Per completezza, fa un controllo sul conto per vedere se per caso l’importo da pagare non sia stato già addebitato (non lo era, meno male!) e mi invita caldamente a recarmi lì di persona, in quanto per telefono non è stato mai risolto niente in tutti i casi analoghi. Mi racconta di clienti con identico problema che hanno perso mezzorette in attesa di essere messi in contatto con l’ufficio competente.
Anzi, mi chiede se conosco qualche funzionario di quell’Azienda cui chiedere il favore di sistemare la faccenda. I suoi clienti, pare, abbiano risolto così.
Insomma, vi capita una rogna di cui non capite bene cause e soluzioni e per di più v’invitano a far intervenire un funzionario. Non schiumereste di rabbia anche voi?

Scelgo con accuratezza la lingua per cominciare ad imprecare appena fuori dell’Istituto di credito, come quando si sceglie il vino per accompagnare le pietanze (trattandosi di faccende nostrane, un santomittabbeve, un mannaggiaquillopuorco o un mannaggiasantonienti ci stanno bene tutti) prefigurandomi lo scenario di ciò che mi attende. La mia avventura comincerà senz’altro provando a contattare il numero telefonico. In effetti, mi mandano a comprare il sale, come si dice nell’Isola di Terranova.

Sbuffando come una ciminiera, mi risolvo a prendere un permesso al lavoro per recarmi allo sportello in Corso Europa 41.

E così, finalmente in questa settimana mi sono recata agli sportelli, armata di pazienza, ma anche di determinazione.

Arrivato il mio turno, saluto e semplicemente presento la lettera accompagnandola con una domanda “Come mai?” ribollendo, pronta ad aprire la valvola.

L’addetto prende il foglio, mi guarda e sospira annuendo. Allora, aggiungo: “La Banca mi ha detto che loro non possono fare niente.” “Hanno ragione” dichiara guardandomi con comprensione.

Faccio un (metaforico) salto di meraviglia: spiazzata. “La vostra banca ha ragione: il problema è nostro – continua – per risolverlo dovete ricompilare il modello di addebito in conto. Avete l’IBAN con voi o lo tiro fuori dal sistema?”

Cavolo. Perché devo ricompilare il modulo? Perché inserire l’IBAN se nei fatti ce lo hanno già? Non mi è chiaro e rimarrà oscuro. La spiegazione non è intelligibile e non sono sicura se di ciò sia colpa dell’addetto.

Per fortuna che ho deleghe, procure e tutto quanto, anche l’IBAN che – trovandomi – voglio controllare nella sua esattezza. L’impiegato scrive, compila, stampa e mi presenta due moduli da firmare.

Diciamo che in meno di venti minuti (tranne il tempo di attesa in coda) le mie incombenze allo sportello A.C. sono terminate. Tuttavia, la circostanza di aver preso mezza mattinata di permesso per organizzarmi e recarmi allo sportello mi spinge a chiedere soddisfazione.

“Sì – ricomincio – ma se è un vostro problema e per di più occorre che l’utente venga personalmente da voi, perché nella lettera fate capire che è colpa della Banca? Lo sapete che ho preso il permesso per venire qua e capirci qualcosa, visto che al numero telefonico indicato mi hanno lasciato in attesa come un baccalà appeso?”

“Sì, lo so.” risponde. Il suo sguardo è di rassegnazione e tristezza. “Noi lo abbiamo chiesto. Abbiamo chiesto di modificare le lettere – dice alzando le spalle — gli utenti vengono qua e ci mangiano. Mi raccomando, ora vi rimane da pagare il bollettino entro la nuova scadenza.”

Dopo una dichiarazione siffatta, mi passa la voglia di sfogarmi per bene, nonostante tutto il contenuto della lettera sia palesemente sbagliato, con il corollario di essermi sentita presa in giro da una pubblica amministrazione (e l’A.C. rientra nella fattispecie perché ha a che fare con beni pubblici, nonostante sia una SpA). Il tutto, in barba ai principi di trasparenza, efficacia, efficienza, rapidità, accessibilità, informazione.

Immagino, tuttavia, come si debba sentire l’addetto allo sportello, costretto tra l’Azienda — la quale scrive inesattezze nelle lettere all’utenza e non ha una procedura automatica per adeguarsi a SEPA — e gli utenti — i quali per capirci qualcosa e risolvere il problema devono farsi come minimo tre tappe: banca, sportello a Corso Europa e Poste per pagare la morosità in sospeso.

Talvolta, la tattica di ammettere l’errore fa parte della strategia di evitamento dei conflitti e a livello personale, in ogni caso, il dipendente allo sportello faceva quello che poteva ed ho apprezzato la sua sincerità.

Tuttavia, riconsiderando la faccenda, moltiplicata per gli utenti che si sono trovati nelle stesse condizioni, mi sono ritrovata a pensare che l’Alto Calore – ahimè – con questa vicenda conferma tutti gli stereotipi negativi di una pubblica amministrazione: comunicazione errata/imprecisa; proposta di soluzione sbagliata; supporto telefonico impraticabile nei fatti; impossibilità di risalire al responsabile del procedimento e/o della procedura; nessun tentativo di rendere l’utente più informato dell’inconveniente chiedendone la collaborazione, magari scusandosi. Di SEPA, infine, neanche una traccia.

Certo, un giro sul sito ufficiale dell’A.C. l’ho fatto. Nelle FAQ, per esempio, non c’è accenno alla problematica SEPA degli addebiti in conto corrente, né nei comunicati o nelle news si avverte l’utenza di alcunché. Tuttavia, almeno la metà degli utenti dell’Azienda non va su internet a cercare il sito dell’A.C., e non solo per il fatto che non esiste indicazione in tal senso sulla lettera arrivata alla mia famiglia.

Insomma, non va bene commentare con un ‘e che sarà stato mai?!’ Come non va bene che io termini il racconto con un ‘tutto è bene ciò che finisce bene’. Primo perché la bolletta in morosità non è stata ancora pagata e se ci si mette il diavolo, può succedere che finiamo a ruolo per equivoci non creati da noi; e poi perché se non la finiamo con questa rassegnazione civica non cambieremo mai.

Ah, dimenticavo: il fatto che non abbia avuto bisogno di nessun funzionario (anche perché non ne conosco) per risolvere la questione non rende meno amara la vicenda.

Noi, utenti-gregge
Noi, utenti-gregge
Tag(s) : #pubblica amministrazione, #Alto Calore di Avellino, #comunicazione pubblica
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