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Il senso politico degli Italiani

No — dico io — giusto ieri sono stati qui pubblicati due miei articoli: uno sulle condizioni socio-economiche della nostra provincia in relazione anche ai numerosi suicidi delle ultime settimane ed un altro su Sanremo.

Hanno fatto quasi le stesse metriche (sarebbe il gradimento in termini di lettori) e se il divertissement editoriale su Sanremo non fosse stato posizionato nella sezione di «Orticaland», sicuramente avrebbe superato in letture l’articolo più serio, per il quale avevo sudato parecchio al fine di circostanziarlo massimamente con fonti e dati, contestualizzarlo all’Irpinia, agganciarlo il più possibile alla realtà recentissima.

C’è una morale in questa sottolineatura? Certo ed è una morale che fa da premessa alla seguente riflessione sul comportamento degli Italiani nei confronti della Politica e della politica.

Siamo alla vigilia di nuove elezioni — quelle regionali e di qualche municipalità — e gli animi si stanno riscaldando. Lo si nota anche tra queste colonne giornalistiche.

Fernand Braudel, storico francese morto nel 1985 (esponente di spicco della Scuola degli Annales, che coinvolgeva altre discipline alla mera storiografia, compresa la psicologia sociale), diceva che l’uomo è schiavo dei quadri mentali, ovverosia la cosiddetta ’mentalità’, che è una prigione di lunga durata. La nostra mentalità di Italiani è fatta di scarsa socialità (la socievolezza è altra cosa); mancanza di sentimento civile; rifiuto della responsabilità, anche di fronte alla Storia da cui non abbiamo mai appreso nulla; zero cooperativismo sociale e solidale; ma molta scenografia. I pochi esempi di solidarietà che si annoverano non bastano a definirli una caratteristica nazionale.

Umberto Saba spiegava — per esempio — che l’italica indignazione priva di rivoluzione era dovuta alla circostanza che psico-socialmente noi siamo fratricidi, non parricidi. Con tutte le implicazioni freudiane che ciò comporta.

Ancora. Stendhal diceva a sua volta che gli Italiani parlano in continuazione di politica (non si spiegherebbe il così alto numero di politici e commentatori di politica nei talk show), ma esclusivamente per il piacere d’indignarsi. In definitiva, il M5S non è fuori ruolo.

(Stendhal è quello nell'immagine in alto. Somiglia Maurizio Crozza con i capelli e la barba. Non vi pare?)

I veri problemi concreti non vengono mai sfiorati. Ci rifiutiamo di studiare i meccanismi che regolano le libertà e immaginiamo che arrivi un Angelo, un Veltro, un messia che ci porterà un bel giorno una grande e luminosa civiltà, la quale da decenni noi chiamiamo ’riforme’. Sono altrettanti decenni che riformiamo, ma le modifiche non sono mai quelle giuste. Mai. Siamo piuttosto fedeli a quell’editto della Real Marina Borbonica del ’Facite ammuina’. D’altronde, chi fraveca e shfraveca non perde mai tiempo.

C’è qualche angelo/veltro/messia tra i futuri candidati alle prossime regionali, per caso? Ci illudiamo ci sia? Ci illudiamo, non c’è dubbio, per questo apriamo interminabili discussioni.

In realtà, viviamo in un grande condominio che non crea legami, ma coltiva solo odio e ripicca. Basta leggere i commenti sotto gli articoli di politica, locale e nazionale.

Siamo inclini alla collera, al ’mantenitimi-ca-sinnò-’ngi-spacc-’o-musso’. Siamo poco coraggiosi, non conosciamo le regole di reciproco controllo che preservino le reciproche stime. Dirò di più: non abbiamo alcuna intima stima per nessuno. In definitiva, ci livelliamo nel disprezzo reciproco, non nel merito, ovvero nel riconoscimento di questo. Siamo tarati, piuttosto, sul riconoscimento e l’apprezzamento della furbizia e della scaltrezza, cui destiniamo un alto consenso. In particolar modo elettorale.

Diceva Massimo D’Azeglio che nel cuore degli Italiani vi è sempre un po’ di guerra civile: chi ha contro chi non ha. Tuttavia è una forma di lotta molto diversa da quella che la Storia identifica nella tradizionale lotta di classe. Chi non ha è fondamentalmente un antistatalista — nel senso che pure indicava Gramsci — un anti-istituzioni. Chi ha, invece, si accomuna e si consorzia corporativamente per interessi economici e di categoria, tendendo a creare stati-negli-stati, regni, contee ed anche conventicole di parte. Alleanze e consorterie si fanno e si disfano più platealmente durante le elezioni. Ma l’attività è di mainstream. C’è un’opera cinematografica che cito spessissimo, "Caterina va in città" di Paolo Virzì. Narra di come ad alti livelli politici, le differenti partigianerie perseguano un unico fine: rimanere al potere con tutti i benefits cui questo si accompagna.

Tutte le riforme elettorali che prevedono il premio di maggioranza in nome della governabilità non hanno fatto altro che rafforzare la pratica del bandwagoning e delle tenaci consorterie (spesso molto opache all’elettore) e Renzi ed il suo strano esecutivo (nonché lo stesso patto del Nazareno) non sono altro che il parossistico effetto dei bonus.

Tirando le somme, l’Italiano è fondamentalmente un apolitico, perché ad un onesto e salvifico legame con un sano concetto di Stato preferisce l’idea della consorteria e della clientela. E le elezioni italiane non sono altro che il rinnovo di patti consortili di interessi individuali o di piccoli reami.

Il senso politico degli Italiani
Tag(s) : #politica nazionale, #regionali 2015, #Stendhal
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