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Non lo è per le mamme, figuriamoci per i figli...

Pensavo che l'amaronico (amaro & ironico) amarcord di ieri sulle vicissitudini di una mamma avellinese non fosse così appetibile dal punto di vista giornalistico. Mi sbagliavo.

Le problematiche che vivevo allora sono ancora attuali ed il traffico, nel frattempo, è addirittura aumentato. Mi sono resa conto che è sempre più complicato fare la mamma in tempi di crisi e non solo perché mancano i soldi in famiglia, ma perché mancano soldi per tutto. Anche per la carta igienica nelle scuole, ad esempio.

Conoscete le lotte dei genitori di ragazzi disabili per avere il sostegno durante le ore scolastiche, vero? Ogni anno ci sono sempre meno fondi per i contratti e sono sempre più le mamme che – pur di far frequentare la scuola ai loro sfortunati figli – rimangono in aula con questi.

Conoscete anche la vicenda dell’AIPA, il costruendo centro per i ragazzi affetti da autismo? La struttura incompleta si trova a Valle. Sono passati tredici anni dal progetto e otto dall’inizio dei lavori. Non ci sono i fondi per terminarlo e i genitori di questi ragazzi non hanno pace perché la vita famigliare è sconvolta; non si danno pace perché proseguono nella lotta e nelle iniziative (un abbraccio a Elisa, Scipione e Michelangelo); non trovano pace perché si tormentano nel cercare di capire perché la società, l’economia, le istituzioni non offrono soluzioni, né sostegni, né conforto.

I tempi d’oro per le mamme, stranamente, sono stati quelli in cui mia madre insegnava. La scuola era un’istituzione più considerata e la diversa organizzazione (che ora sembra inutilmente punitiva per gli insegnanti e lassista nei confronti degli studenti) aiutava di più le famiglie. Ricordo i pomeriggi passati con mamma a dipingere fondali per il teatro scolastico o a seguirla nelle cartolerie della Città nella scelta dei migliori colori da usare al tempo pieno con i ragazzi.

Proprio ier l’altro leggevo di una ricerca psico-sociale sulle tossicodipendenze. Veniva fuori che il miglior antidoto ed il miglior vaccino contro le feroci ed endemiche dipendenze (vale per le sostanze psicotrope quanto per tabacco, alcool e ludopatie) era il contatto umano, non la sobrietà. Le persone non avrebbero bisogno di sostituti e sostegni chimici se il loro ambiente di vita fosse ricco di umanità, solidarietà, contatto, comunicazione. A prescindere dallo status economico. Il problema è sentirsi solo e senza scampo in questa solitudine.

Il primo ambiente – dopo la famiglia – in cui si dovrebbe sperimentare un’abbondanza di contatto umano è la scuola. Invece, noi Italiani che si fa? Tentiamo di ridurre pure gli anni di frequenza, adducendo innovazioni iperuraniche (che non stanno né in cielo né in terra, cioè) quando la verità è che non si vogliono assumere insegnanti, pagare personale, aggiornare strutture. Nessuna LIM sostituisce un abbraccio dopo un’intensa partita di pallavolo (era lo sport più praticato durante le mie scuole medie).

Durante l’ultimo week end ho avuto modo di passare qualche ora con alcuni miei intensi amici a Napoli. Ci si raccontava delle esperienze scolastiche dei figli e ci si lamentava che il livello delle classi tende al basso, per mancanza di tempo da dedicare all’insegnamento personalizzato dei ragazzi rimasti indietro. Molti dei miei amici sono docenti e raccontavano che – a differenza di anni fa – è complicatissimo chiedere di mantenere le scuole aperte nel pomeriggio, per via di costi, disponibilità, assicurazioni. Addio sostegni, recuperi, socialità. Amore. Ma il Priore di Barbiana non ha insegnato proprio niente a proposito della cura dei ragazzi?

Il successo dei social network è dovuto al fatto che offrono a buon mercato una sottospecie di contatto umano, necessario all’uomo al pari di acqua e aria. Ai tempi della mia adolescenza, i social non esistevano. Esistevano le sedute sotto la Banca Popolare e – nonostante non si navigasse nell’oro – nei pomeriggi, un corso d’inglese o il gruppo sportivo alla Dante Alighieri erano sempre alla portata. Sì, certo c’era il Commodore64 e l’Amiga, ma il bello era giocarci con gli altri.

Sapere che i propri figli passano ore e ore davanti ad uno schermo non rende noi genitori più sereni, bensì più angosciati. E quandanche i ragazzi volessero fare altro e soprattutto assieme ad altri, la nostra Città mostra la sua più immusonita ostilità. Mio figlio, ad esempio. Lui suona in ben due band. Scrivono testi e musiche, provano quando possono. Talvolta si esibiscono anche fuori regione (nella foto di una settimana fa, stanno a Genova). Si sforzano di mantenere l’entusiasmo, anche se tutto congiura contro le band di ragazzi. Non ci sono luoghi per provare e si rintanano nei garage fintanto che a qualcuno del condominio non viene lo schiribizzo di cacciarli. Motivo? Sono giovani, sono diversi, quindi, pericolosi.

Bella società. Il fatto di aver vietato con apposita ordinanza il gioco del pallone in uno dei pochi luoghi centrali e senza auto la dice tutta sulla sensibilità civica e municipale. A San Michele di Serino, per esempio, lo stadio di calcio (a vista) è nel centro del paese: fa da aggregatore.

Un’Amministrazione dovrebbe fare tanto – anzi tantissimo – per i ragazzi. Quelli che non espatrieranno saranno il nostro futuro qui. E noi, noi cosa insegniamo loro? Spargiamo difficoltà invece che soluzioni. È complicato essere genitori, ma ancor più essere giovani in questo territorio. Lo si desume tragicamente anche dal numero dei suicidi.

Il caos quotidiano che vive la nostra Città si rispecchia nel modo in cui noi costruiamo il nostro Sé, individuale e di comunità. Cosa apprende ed interiorizza un ragazzo da vicende come quelle di Piazza Castello o dell’Isochimica? Non di certo apprende concetti come trasparenza, responsabilità, cura, tempestività.

Se Avellino non è una città per mamme (ma ritornerò presto sull’argomento), non lo è neanche per i figli.

Tag(s) : #Avellino, #genitori
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