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Un anno pieno di errori da fare

Nella foto, mi prendo molto in giro. Non sono affatto una buona cuoca (non so cucinare) e odio abbastanza le festività invernali (per via del freddo e del troppo cibo).

Tutti vorremmo conoscere il metodo per evitare gli errori nella vita. La curiosità mi spinse un giorno a comprare un testo al limite tra il self-help e la psicologia sociale, dal titolo “Il metodo anti-errore” di J. Hallinan, un premio Pulitzer. Hallinan squarcia per noi uno dei tanti veli di Maya che ricoprono la realtà e ci fa capire che a) a nessuno piace passare per stupidi e che b) raccontarci balle ci rende felici perché in questo modo i nostri errori risultano mistificati.

Il testo è molto piacevole e insegna mediante la didattica che a me piace di più: l’ironia. Tutto il libro, poi, sembra essere scritto anche per quasi tutto il popolo dei social, che è credulone, enfatico, illuso di essere sempre sopra la media degli altri abitanti virtuali, nonostante il fermo ed intimo convincimento che l’erba del vicino sia sempre migliore (fèisbuk è il miglior orto per l’invidia, sapevatelo).

L’errore e tutti i suoi corollari comportamentali vanno di moda, tanto di moda che Vogue ha dedicato una pagina alle teorie degli errori (pubblicato a dicembre) per esempio. L’eroe dell’errore positivo è Karl Popper, il mio beniamino tra i filosofi, sempre dopo Seneca, ovviamente. Tanto per rinfrescarci la memoria, Karl dice che di ogni teoria non si può dimostrare la certezza (o la verità), bensì solo i suoi difetti, dagli errori che produce, cioè.

Per chiudere la carrellata di testi sull’errore – e dare la stura ad un pippone sociologico dei miei, tanto per non smentirmi neanche nel 2014 – segnalo il saggio di Brunella Antomarini, “Pensare con l’errore”, magari un po’ tecnico, ma illuminante: ‘na cosa che arapre i polmoni, ‘nzomma. Eccovi una chicca: fingere sicurezza (infallibilità, sicumera, assiomaticità verbale) è uno stato mentale che funge da auto-incoraggiamento, una sorta di urlo di guerra per affrontare il mondo. Segue un grafico impossibile (di Keynes) per spiegare la formula esistenziale non-numerica, che si sintetizza in “Tutte le proposizioni sono vere o false, ma la conoscenza che abbiamo della loro verità o falsità dipende dalle circostanze”. Ottimo libro, davvero appagante.

Perché un op-ed sugli errori? Perché sui social impazzano le liste dei buoni propositi per non sbagliare più, o per lo meno per non compiere gli stessi errori fatti nel 2013. Al di là della circostanza di seguirle o no (rileggete quello che Mark Twain scrisse sui capodanni nell’op-ed precedente, qui: http://www.orticalab.it/Bilanci-propositi-ovvero-Ce ), le liste di propositi, risoluzioni&promesse (mantenute da non più dell’otto per cento di coloro che dichiarano solennemente di voler cambiare) impazzano quali esorcismi e scaramanzie a buon mercato per garantirsi un nuovo anno da persone ‘perfette’, senza errori, cioè. La perdurante crisi economica, assieme con la mistica dell’austerità e della frugalità, piantate nella nostra inossidabile coscienza formata al cattolicesimo (anche culturale ed etico, nonostante la nostra morale cristiana sia spesso traballante) ci invita ad auto-condizionarci e a spararle grosse sui propositi di moderazione, semplicità, empatia, ascolto, minimalismo commerciale, essenzialità.

Stronzate.

Siamo cattivi, rabbiosi e stanchi, a causa delle privazioni (reali o esagerate dalla corrente opinione pubblica tendente al savonaroliano), ma specialmente privi di sogni. Evitiamo di sognare perché aumenta il differenziale tra ciò che vorremmo e ciò che invece avremo – quasi niente cioè – alla faccia ‘rri curnicielli anti-malocchio (gesto apotropaico). Prendete ad esempio questa cosa che ho trovato in giro (http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Capodanno-dallamore-al-successo-ecco-i-punti-giusti-per-brindare-al-2014_321049506374.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook). Siamo così disperati che per ottenere almeno uno dei benefici elencati, avremmo dovuto brindare girando come trottole, se ci fossimo affidati al Feng Shui.

Ancora tutte stronzate, ovviamente.

Eppure, questa è la materia di cui si pasce la nostra quotidianità psicologica. Magari spaventi come questi al link http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=52938&typeb=0&2014-le-terribili-sciagure-che-ci-aspettano-secondo-il-web- li leggiamo sghignazzando, ma se le stesse cose le dice un certo Gianroberto con aplomb da apocalittico serio e consapevole, qualcuno li prende pure per buoni. E che dire della storia che i possessori di iPhone sono più facilmente spiabili dagli USA? Occhèi, facciamo pure che sia così, e allora? Me li immagino, questi agenti NSA ad ascoltare me che urlo (ogni santo giorno) a mio figlio di tornare presto a casa e di mettersi a studiare, oppure ascoltare mia zia che elenca i malanni della settimana. Me li immagino a sbuffare per noia alle ennesime mie benedizioni nei confronti del gestore telefonico causa bollette troppo alte. Suvvia, davvero crediamo che la NSA s’interessi a mia madre che m’intima di comprare gli zucchini rientrando a casa? O a mio figlio che raduna gli amici per giocare a GTA?

Aaargh! Diamoci una regolata, per diamine. Almeno facciamo finta di darcela. Almeno il due gennaio. Stabiliamo che registreremo ogni nostro errore su un diario, così da leggere l’elenco per sfogarci in una grandissima e liberatoria risata, ogni sera, ogni settimana, ogni anno. Scriviamo di ogni persona che si è presa troppo sul serio, incontrata durante il nostro cammino e facciamo una pernacchia alla prosopopea, ovvero – a scelta – all’orgoglio, al formalismo, alla spocchia, all’arroganza, all’ingiustificabile aggressività, al gusto di offendere per l’offesa. Altrimenti finiamo per diventare gli shcolacarrafielli della nostra stessa vita (dicesi shcolacarrafiello colui che recupera i fondi di vino dalle brocchette, sinonimo di pochezza).

Sbagliare serve, sbagliare è un dono prezioso. Serve a capire, serve a comportarsi meglio o diversamente con le persone e nelle situazioni. Sbagliare non deve deprimere: è una lezione gratuita, è il veicolo per viaggiare nella conoscenza, è l’attrezzatura da scalata per avanzare nel miglioramento di noi stessi.

Per non sbagliare, però, succede che molti di noi rinunciano ad agire o a scegliere. Il risultato è che non vivremo bene perché diventiamo amebe, ovvero il rimpianto per non aver scelto è un’emozione più sopportabile che la rabbia per aver sbagliato.

C’è chi, invece, rivolge tutta l’attenzione al proprio ombelico e reseca o modifica l’interazione con gli altri diventando idrovore (di tempo, attenzione, emozioni, sentimenti, e tanto altro), considerando che l’unico vero grande errore della vita è non pensare mai abbastanza a se stessi, perché la vita ci ha rubato qualcosa, perché la fortuna ha un debito con noi, perché ci hanno insegnato ad essere predatori: i motivi sono infiniti. Prendete un’altra delle innumerevoli liste di propositi pubblicati sul web, questa: http://www.huffingtonpost.com/amy-chan/forget-new-years-resolutions-daily-contract_b_4459473.html?ncid=edlinkusaolp00000009 . Si tratta di un contratto con se stessi. Su undici punti del contratto, solo cinque riguardano gli altri. Tuttavia a pensarci bene, anche quei cinque non sono che un mascheramento dell’egoismo. Infatti, c’è un tornaconto psicologico secondario nell’altruismo, o nell’empatia, di facciata, compreso l’aver cura dei genitori anziani facendo loro una telefonata o scrivendo un’email (perché non basta, ovviamente, e perché non molti dei nostri anziani sono capaci di leggere email o di essere in così buona salute da vivere in autonomia). Questo, dunque, è un orrido esempio di lista che ci abboffa di menzogne sulle cose giuste da fare. Il fatto è che oggigiorno il patto di lealtà non è più stipulato con gli altri (una volta si diceva il nostro prossimo) o con le regole celesti (qualsiasi regola celeste), ma con se stessi e tutto viene immolato e giustificato dal principio che il ‘me’ viene prima di ogni altra cosa/universo/dio. Ovviamente, i social amplificano questo aspetto egolatrico. (No, non mi ergo a moralista, amici, perché anch’io purtroppo alimento il mio ego condividendo almeno tre volte al giorno i link degli articoli di Ortica. Il mio blog, invece, è programmato per pubblicarsi in automatico, così mi risparmio qualche senso di colpa.)

Ovviamente, non ho una ricetta anti-errore, né una bacchetta magica (Letta Enrico vorrebbe averne una, visto che ogni tanto la invoca. Secondo me significa solo che stiamo davvero inguaiati). Tutto quello che ho imparato è ridere di me e dei miei errori, ma anche di coloro che si prendono abbastanza sul serio. Ogni tanto, mentre solo sola, ripenso a tutto questo e rido sonoramente, senza pericolo che qualcuno cominci a dubitare della mia sanità mentale. Rido di tutte le volte che per tenere il punto ho modificato la realtà; di ogni volta che qualcuno mi ha mandato affanculo; di ogni volta che ho sbagliato pronuncia parlando le lingue straniere; rido di quando non ho riconosciuto le persone per strada (che fiurella!) inseguendo i miei pensieri; di quando mi sono offesa al commento di qualche troll idiota (dimenticando che i troll non vanno alimentati mai) e ho rintuzzato incazzata; rido di quando esagero con i miei innamoramenti per cibi, oggetti e persone e mi sta bene se ingrasso, se le cose si rompono o se di alcune persone riesco a rimanerne delusa.

Morale? Mi auguro e vi auguro un anno pieno di errori salvifici.

Tag(s) : #2014, #errori, #propositi
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