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In#felicità insopportabili

Come si fa a fronteggiare una tragedia come quella dell'Acqualonga? O un terremoto letale? O la perdita di persone care? (La foto qui in alto è stata pubblicata sul Time.)

La vita è globalmente senza senso. Ovvero, ne avesse uno, a noi mortali non è ancora stato concesso di conoscerlo. Le religioni sono un tentativo, tuttavia nulla di certo, visto che ne esistono infinità. La mancanza di senso (assieme ad una chimica endocrina predisponente) è la base delle depressioni (le patologie mentali, non i semplici stati di tristezza cioè), come pure dei grossi impianti filosofici, nonché delle cosmogonie personali, che nascono come tentativi di recupero di un senso intelligibile. L'unica vera fondata infelicità degli uomini è dunque legata alla morte: quella reale che vediamo quotidianamente, come pure la riflessione tragica sul destino ultimo che renderebbe vano il vivere. Le altre infelicità, comprese le pene d'amore (di cui parleremo in prossime puntate), possono essere considerate costrutti mentali ed emozionali variabili nel tempo, nelle società e nelle culture. Ci sono etnie che non considerano l'adolescenza -- ad esempio -- e, quindi, neanche le malinconie o le intemperanze che ne sono corollari.

I momenti di 'umore blu' sono variamente considerati nella storia, come lessi in un piccolo ma illuminante saggio "Etnopsichiatria: un manuale per capire" (per chi vuole saperne di più c'è anche "Le ragioni del dolore. Etnopsichiatria della depressione", sempre di Piero Coppo). A volte la depressione viene considerata la soglia più prossima al divino, il luogo-momento in cui noi si può sperimentare una visione globale dell'esistenza terrena.

Voglio farvi una confessione: anch’io ho sofferto di due depressioni, piuttosto profonde -- legate ad eventi tragici della mia vita -- che hanno richiesto mesi di pazienza, mia e dei miei famigliari e tanto dialogo con psicologi, psichiatri e religiosi (su tutti il Padre gesuita Domenico Correra, di approccio rogersiano, fondatore del Consultorio presso la Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. Uomo eccezionale). Uno dei dolori più atroci che nella vita possano capitare è la morte dei propri figli. Non è nell'ordine delle cose seppellire i propri figli. La mancanza di senso in questi casi è pressoché impossibile da colmare, come il dolore da acquietare. Ebbene, anni fa io persi un figlio.

Il mondo per me non aveva più colore e il cielo si confondeva con il suolo. Il dolore mi aveva stravolto tutte le sinapsi e la mia mente, per questo, aveva deciso di farmi vivere in una vertigine perenne. Vacillando l'equilibrio mentale avevo perso anche quello ortostatico.

Risparmiandovi il racconto delle mie condizioni, vi dirò solo che ne uscii assolutamente senza farmaci (sono abbastanza contraria agli psicofarmaci in genere, il massimo che prendo è un antinfiammatorio per le mie feroci emicranie) nonché attivando tutta la manualità di cui ero capace: lavoravo a maglia, ad uncinetto; cucinavo dolci; pulivo ossessivamente; mi attaccai al lavoro. Si tratta della cosiddetta 'cura del presente'. Cercavo di non leggere, per non lasciare il pensiero a 'briglia sciolta'. Mi aiutai pure imparando una specie di poesia in latino che ripetevo come un mantra orientale per tranquillizzarmi e riempire d’altro la mente (lo stesso effetto fa la recitazione del Rosario, ancor più se declamato in latino. Autorevoli studi medici lo confermano): in definitiva sono tecniche di meditazione.

Certo, ognuno fronteggia (to cope, in inglese) come può le tragedie e c'è chi non si risolleva mai più. C'è chi cambia per sempre la visione della sua vita; c'è anche chi, però, decide di farla finita. Non c'è assolutamente giudizio di valore rispetto alle strategie di coping, ma in definitiva si può affermare con Jean-Marie Dormenach che "Non si tratta di pensare di più, quanto di pensare diversamente".

Il pensiero di un dolore atroce non va via. Mai. Il lutto per un coniuge amato si rielabora a mala pena in otto anni -- dice la letteratura psicologica--, ma è solo un abituarsi all'assenza: non si perde il ricordo ed anche la storia delle amnesie selettive conferma la persistenza della cicatrice nell'anima. Io non ho mai perso il ricordo di un figlio che non ho visto crescere e di cui ancora (dopo tanti anni) mi dispero per il dolore che avrà sofferto, per l'impotenza nell'aiutarlo, per l'assurdità di una morte così prematura ed innocente.

Esattamente quello che i famigliari delle trentotto vittime della tragedia dell'Acqualonga stanno provando: impotenza; assenza di significato e senso; ricorsività ossessiva del ricordo. Non c'è soluzione al loro dolore e ripetere coattivamente i capitoli della tragedia alimenta il senso di disperazione: e se... e se... e se...

Niente sliding doors nella vita, purtroppo. Quel piccolo vortice di eventi che con l'accumularsi del tempo si è ingigantito, facendo collidere gli elementi tutti assieme in una serata di fine luglio in quel preciso punto dell'universo, certamente avrebbe potuto essere 'spacchettato' prima: una revisione più approfondita del mezzo; un cantiere autostradale chiuso per tempo; una coda di auto che non si sarebbe formata, così da lasciar rallentare il mezzo mediante gravità e attrito (e comunque con un bilancio meno tragico, forse). Una o più variabili avrebbero potuto disattivarsi. Già, ma niente sliding doors, nella vita.

Venir fuori da momenti così è percorso duro. Succede spesso che 'dopo' il colore delle cose e delle storie non è più lo stesso. Anche a me è andata così. La tragedia che mi colpì ha definitivamente cambiato la mia vita. Con le parole di Douglas Adams, è come aver acquisito un 'nucleo di morte interiore', che mi fa guardare il mondo e la vita con distacco, evitando di prendermi sul serio e di non prendere mai nessuno sul serio (specialmente quelli che si prendono sul serio. Li massacro!).

Nel frattempo -- come in una canzone di Claudio Baglioni -- porto avanti il cuore (o è il cuore che porta avanti me) ed è questa mia personalissima filosofia che mi ha insegnato a sorridere di più, ad avere pazienza, a chiedere sempre aiuto al Tempo e soprattutto a ridere di ogni rigidità altrui, ma soprattutto mia personale.

Noi, i trentini, gli alto-atesini e i piemontesi siamo i gruppi regionali meno depressi. Secondo me è il vino: siamo regioni ad alta densità di DOCG.
Noi, i trentini, gli alto-atesini e i piemontesi siamo i gruppi regionali meno depressi. Secondo me è il vino: siamo regioni ad alta densità di DOCG.

Noi, i trentini, gli alto-atesini e i piemontesi siamo i gruppi regionali meno depressi. Secondo me è il vino: siamo regioni ad alta densità di DOCG.

Tag(s) : #felicità, #incidente viadotto Acqualonga, #depressione, #morte di un figlio, #etnopsichiatria, #infelicità
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