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Lioni

(Originale pubblicato su Ottopagine il 13 luglio 2009.)

A Lioni, per lavoro due giorni di seguito, in questo sole di primavera inoltrata, che sembra quasi estate. Il tempo meteorologico influisce molto sulle sensazioni e sulle emozioni che ne derivano. Ciò è specialmente vero per il colore dei ricordi.

Svicolando veloce per le curve dell’Ofantina (bis) avanti ed indietro, in questi giorni, il tempo è stato sempre bello, ma in un modo che oserei definire selvaggio: sole e vento, grandi nuvole in rapido transito, ombre veloci e luce tersa, quasi a tagliare le sagome delle cose.

Non come quando si andava ad insegnare all’IPSIA Vanvitelli, sempre a Lioni. L’ho fatto per tre anni consecutivi tempo fa, come docente esperto di Comunicazione per i corsi di specializzazione nelle quarte e nelle quinte. Mi pesava andarci, allora. Freddo e pioggia, costantemente. Però, in classe ci si dimenticava del fastidio. È stata un’esperienza importantissima. Vorrei riabbracciarli tutti, i miei studenti, e ringraziarli ancora.

Poi, più recentemente, si è data anche l’opportunità di formare alcune operaie di una fabrichetta nella “zona industriale”. Alla fine degli incontri, come amiche abbiamo condiviso il racconto dei problemi, alcune risate, la speranza di tempi migliori. È il mondo femminile, è così dappertutto, scalda il cuore, anche in una fabbrica dell’alta Irpinia che lotta nella crisi.

Si arriva presto e decido di fare un giro di perlustrazione. Infine, parcheggio in Piazza San Rocco. La ricostruzione post-sisma rende i nostri paesi spesso simili: in un flash rivedo Conza.

La piazza è grande, assolata e ventosa. Nuova e silenziosa. Neanche i vecchietti ci sono. Sembra enorme per un paese, per di più svuotato.

Lioni mi sembra vasta e la mia personalissima tassonomia la divide in zone separate tra le quali mi perdo sempre. Mi sono rassegnata da tempo: io e l’orientamento non troveremo mai neanche un compromesso.

Il luogo comune la vuole un soprattutto grosso centro commerciale. Forse è così, forse non più. È un paese diverso dagli altri dell’area. Anche molto diverso da Sant’Angelo dei Lombardi, per esempio. Per questa sua diversità urbanistica e spaziale il disagio emerge con aspetti differenti: specialmente i ragazzi si sentono in bilico, come su di un parapendio per spiccare il volo, ma senza il deltaplano per farlo. E si rimane a guardare l’orizzonte, smarriti, in questa cittadina tutta nuova, tutta ancora da utilizzare e comunque da sempre al centro dell’attenzione degli amministratori. Neanche il re-innesto di tradizioni antiche funziona poi tanto, in un habitat sterilizzato e pianificato, seppur con nobili intenti di sicurezza, recupero e aiuto.

Lioni mi piace, in ogni caso. È ricostruita senza affogarsi. I cantieri ci sono ancora, soprattutto per il rifacimento delle strade e dei marciapiedi con i basoli nuovi. È tutto tranquillo e silenzioso, come fosse una chiesa grande quanto il paese. Anche a Lioni, come in quasi tutti i nostri luoghi, sono passati i Longobardi, dopo i Sanniti, dopo i Gracchi e prima dei Normanni. C’è la statua antica di un leone davanti al Comune.

C’è poca gente per strada. Arrivano Toni e gli altri, prendiamo un caffè al bar. Ah, i bar dei paesi, luoghi di identità, di rivalità e di campanilismi! Toni gioca in casa, lo conoscono letteralmente tutti. Ce ne andiamo al Municipio. Dove trovo Emilio, l’assessore-operaio, gentile e collaborativo. Organizziamo e prepariamo tutti assieme il lavoro di oggi. Scatto alcune foto dalle finestre-oblò della Sala Giunta. Da dietro si vede uno skyline che vale la pena ritrarre. Le collane di case sono colorate, si alternano i rossi pompeiani agli ocra, distribuiti tra i senapismi cromatici di una litografia ben fatta. Il Sindaco viene a salutarci.

Lioni era bella anche prima del sisma. La immagino con altri colori, ma con la stessa raccolta di casette. Magari meno colorata e più pietrosa, una stazione ferroviaria più importante quando il treno svolgeva una funzione fondamentale allacciando l’est e l’ovest d’Irpinia.

A Lioni molte delle costruzioni sono in cemento. Il cemento ha bisogno di tanta manutenzione se esposto al freddo ed alla pioggia: gli esterni di parecchie ricostruzioni sono già arrugginiti.

In questo paese ci sono molti dei miei amici. Uno dei più cari è Franci, studente dell’Orientale (mitica Università!), rivoluzionario e tenero assieme, conosciuto ai tempi dei Centri Sociali. Va e viene da Lioni come fosse agganciato ad un elastico abbastanza lungo che però lo pretende sempre indietro. Amorevole e materno, eppure disordinato come un artista ‘monmartiano’ dell’impegno sociale e politico. Quando inizia a parlare, pare sempre appena svegliato da un sogno. Ha messo su un circolo sociale bomboniera - per quant’è piccolo e carino - per aggregare i giovani. Ha tante idee ed una punta di tristezza nello sguardo.

Il Comune recupera gli spazi vuoti, cerca di movimentare la vita sociale. Ma Lioni è sovradimensionata ai suoi abitanti. La ricostruzione ha svolto il suo compito per bene e le case sono carine, in fin dei conti pure abbastanza coerenti con l’ambiente. Però la gente va via. Oggi, per esempio, aspettavamo alcuni giovani che ci avevano dato appuntamento. Mi dicono che la notte prima sono partiti alla volta dell’Abbruzzo, per cercare lavoro nei cantieri di quella ricostruzione a farsi. I terremoti sono nella nostra genetica, segnano le nostre tappe storiche, tettoniche, urbanistiche, sociali ed economiche.

Se, chi scrive, non fosse così ‘polinesiana’ dedans, sarebbe a Lioni che sceglierebbe di abitare i suoi luoghi dell’anima. In una di questa casette bassine e colorate del centro, dove d’inverno c’è un camino acceso e d’estate c’è la stessa luce di oggi. Per vedermi rimpicciolita dalla grande piazza San Rocco con la consapevolezza di stare a Lioni, ma voler andar via con il vento dell’est.

… chi se ne va, che male fa? Si muore un po’ per poter vivere.” (Paolo Conte)

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Tag(s) : #reportage in Irpinia
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