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Il bluff

Per molti, il TFR anticipato — specie se in un’unica soluzione — sarebbe come una sorta di quattordicesima. Come la tredicesima, infatti, è salario differito, non a fine anno (sempre per la storia dei consumi), ma a fine carriera.

La buonuscita — ovverosia il cumulo degli accantonamenti annuali durante gli anni di lavoro — fa parte dell’iconografia italiana. Piccolo o grande che sia, quel gruzzoletto è (o era) il progetto di un viaggio, di un cambio di mobilia, di un’auto nuova. Ovvero, la possibilità di un aiuto ai figli. Ecco, per esempio, ci sono state aziende (come le Poste) che, in cambio della buonuscita, hanno garantito ai figli dei dipendenti prossimi alla pensione un’occupazione, seppur part time.

Il TFR (o una volta TFS, trattamento di fine servizio, basato sul corrisposto) da taluni è stato utilizzato anticipatamente in quota parte per ridurre il mutuo per la casa. Questa possibilità, però, è negata da sempre ai dipendenti pubblici, i quali (ma neanche in tutti i comparti) sono stati gli ultimi ad avere un fondo pensione integrativo cui aderire.

Ad onor del vero, il TFR è una tradizione precipua dell’Italia. Non esiste negli altri Paesi con sistema di welfare e contribuzioni, a meno che non sia un’iniziativa privata, di tipo assicurativo o previdenziale. Accantonamenti liberi, cioè sotto forma di Piano di Accumulo.

Cosa implica avere il TFR consegnato in busta paga (in quoticine mensili, ovvero in un’unica ed aggiuntiva mensilità)?

Dal punto di vista psicologico l’idea di quattordicesima alletta e sicuramente un certo qual impulso ai consumi si avrebbe. Non so quanto giovi psicologicamente invece averlo scaglionato mensilmente, considerata l’esiguità della somma mensile (pari ad un dodicesimo di una mensilità).

Dal punto di vista pratico, si sa già che il TFR non verrebbe più alimentato e questo creerebbe più problemi alle aziende (specialmente quelle piccole e medie), in quanto, di solito, viene accantonato ’virtualmente’ ed utilizzato quale liquidità. Inoltre, un aumento stipendiale comporta un aumento dell’IRPEF, una diminuzione delle detrazioni, un aumento dell’ISEE ed anche in moltissimi casi la perdita degli ottanta euro.

Diciamo che però, il TFR così com’è ora, viene tassato all’incasso e comunque non è mai corrisposto nell’interezza, bensì in tranches.

Una soluzione sarebbe di prendersi il TFR annuale o mensile e metterlo in un cosiddetto Piano di Accumulo, perché le pensioni saranno davvero un dramma per la maggior parte degli Italiani.

Insomma, a conti fatti quella media di circa 80/100 euro mensili si ridurrebbe alquanto e — in un modo o nell’altro — non sarebbe un guadagno netto per i lavoratori, perché i meccanismi di tassazione/detrazione/conguaglio sarebbero modificati, già solo anticipandone l’applicazione (imponibile aumentato, per esempio).

Riflettendo su i pro ed i contro della distribuzione del TFR — con l’intento proclamato della resurrezione dei consumi — mi è venuta in mente una notizia che ascoltavo due giorni fa in radio, mentre tornavo dal lavoro.

Pare che anche già la sola immagine del denaro riesca a motivare le persone. Nel senso che basta sventolare sotto il naso la foto di cartamoneta (e non i soldi veri) e le persone si automotivano nelle loro attività. Si tratta di una ricerca scientifica autorevole, non di una boutade.

Questa rivelazione ha due risvolti pratici immediati. Il primo è che Renzi, a parlare di soldi da mettere in tasca agli Italiani, ci motiva a concedergli credito di decisione e potere, attraverso il consenso elettorale.

Il secondo risvolto è che — per assurdo, ma non tanto — la pratica di far lavorare persone gratis, ma solo con promesse di magnifici guadagni e progressivi non verrà dismessa. Anzi.

Morale? Siamo plagiabili. Molto plagiabili. Troppo.

Tag(s) : #TFR, #Matteo Renzi
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