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Questioni di autostima

Vorrei parlarvi del matrimonio di Amal Alamuddin con un attore. Vorrei dirvi che il racconto delle cerimonie (pare siano state quattro?), dei preparativi e degli epigoni ci sta fracassando i cabassisi da almeno tre mesi. Vorrei dirvi che non c’è stato sbadiglio o gesto che non sia stato immortalato dai fotografi; che nessun media italico si è sottratto dal contagio per il matrimonio in Laguna; che però gli sposi erano molto belli e che Venezia lo era altrettanto e che il sole ha baciato tutti, a favor di obiettivo. (Eh sì, un po’ di invidia mi è venuta. Ma solo un pochino.)

Avrei voluto raccontarvi di tutto quanto su menzionato, ma alla fine ho deciso di fare la personcina seria e di riflettere con voi su un paio di dichiarazioni lette sul numero celebrativo di «Vogue Italia» di questo mese.

(Marika — santapolenta — perché leggi Vogue? Perché ci sono momenti in cui voglio detestarmi, ecco. Mi viene utile per abbassare l’autostima, la cui esuberanza a volte trovo eccessiva.)

Questo mese, nella rivista di pubblicità sono state inserite alcune brevi bio di donne famose (anche se alcune mi sono sconosciute), soprattutto per la loro avvenenza e per il loro fascino, corredate di foto e frasi memorabili. Tra queste dive, ci sono anche Jerry Hall, modella ed ex moglie di Mick Jagger, e Dita von Teese, modella, regina del burlesque e moglie di Marilyn Manson.

Jerry ebbe a dichiarare: "Credo che se non fossi così bella, forse, avrei più carattere." Premetto che se non fosse per quel "forse", la frase sarebbe da censurare per i secoli futuri. Va da se che più stereotipata di così non poteva essere, rafforzando l’antitesi bellezza versus personalità (carattere, intelligenza...). Insomma, pare di capire che essere belli non aiuta un’ottimale formazione del Se. Trovo pericolosissimo questo nesso causa-effetto. Anche perché implica che se sei brutta e senza carattere, sei spacciata, ovvero che te ne puoi sbattere di non avere carattere se sei bella, perchè ciò basta e talvolta avanza pure.

Dita, invece, ha dichiarato: "Adoro il rituale che c’è dietro la creazione della mia immagine."

Qui, ragazzi miei, c’è vera e propria perversione. Oddio, per essere la moglie di Marilyn Manson devi essere un po’ strana. Ma qui non si tratta di bizzarria, bensì di arroganza. Anche se, a pensarci bene, come per Jerry Hall, anche questa affermazione ricade nella casistica della debolezza. Capisco che la Dita sia un personaggio dello spettacolo, di un tipo di spettacolo che fonda il successo nel barocchismo sensuale, ma innamorarsi del percorso (commerciale, scenografico, di marketing, di trasformazione estetica, di narrazione) che l’ha trasformata nel personaggio che indossa mi sembra da una parte estremo narcisismo e dall’altra un vuoto identitario da colmare con fascino indotto, quindi artificiale. In nome del successo, ovviamente.

Entrambe le frasi sono frutto di perduranti stereotipi, favoriscono la perpetuazione di opinioni comuni dannose attraverso un messaggio culturale molto pericoloso.

Conclusioni?

Invece di abbassarmi l’autostima, la lettura del mensile ha contribuito ad alzarmela. Mi sa che per aiutarmi, devo fare l’abbonamento al bollettino di Fisica del CalTech di Pasadena.

Questioni di autostima
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Tag(s) : #La Cugina di Parascandolo, #discriminazioni di genere
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