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Scriversi addosso

È mercoledì. Puntuali come una cambiale, ripopoliamo questa bizzarra rubrica, che sta prendendo una piega socio-antropologica. E che ci volete fare: è il mondo che va così.

Vediamo un po’. Oggi mi dedicherei ad una bizzarria (un’altra?) secondo la quale noi conduciamo quotidianamente un dialogo silenzioso con noi stessi, in cui pronunciamo mentalmente circa 51mila parole al giorno (min 150, max 300 parole al minuto). Questo dialogo, a seconda dei contenuti e dei toni, modificherebbe il nostro comportamento, inconsapevolmente.

Se riuscissimo a portare all’evidenza cosciente il dialogo, con le parole giuste riusciremmo a modificare in meglio l’umore, ad innalzare l’autostima, aumentare la fiducia in noi stessi ed altre positività eccezionali.

Mmh.

Innanzitutto, concordo solo su una cosa: il linguaggio crea il pensiero. Un linguaggio ricco/positivo/adeguato/concettualizzato/denso crea un pensiero analogo e questo porta a mentalizzazioni superiori. Lo diceva, ovviamente meglio, più di un secolo fa uno che mi piaceva tanto, un certo Vygotskij, Lev Vygotskij, psicologo russo.

Se parliamo con noi stessi e cerchiamo di farlo bene, penseremo positivo e le cose andranno meglio. D’altronde, è il nostro pensiero che giudica le cose. Con un armamentario di frasi tristi e disfattiste non andremo un granché lontano.

Suppongo, per averci provato, che sia difficile anche per voi, Amici miei Lettori Immaginari, mettere coscienza in tutte le frasi che ci dedichiamo. Diventa una fatica.

Così, ho cominciato con una sola semplicissima attività: ridere di me stessa. La cosa funziona, perché mi diverto innanzitutto. Poi, si abbattono i sensi di colpa o tutti i cosiddetti ‘eccessi’ psicologici di compensazione/rimozione/negazione degli errori. D’altronde, siamo umani e sbagliare è normale. Ridere di noi stessi, come rideremmo di Stanlio e Ollio, fa accettare la nostra umanità innanzitutto a noi stessi e poi ci rasserena.

Ridere di se stessi è l’unico aspetto utile del dialogo che intercorre con noi medesimi. Ogni altra nostra frase, di solito, è di auto-indulgenza, oppure di alibi, tentando proditoriamente di nasconderci la vergogna, i fallimenti, la timidezza, l’incapacità. Ancora più spesso, ci mentiamo addosso. Spudoratamente.

Il secondo trucchetto, alternativo al flusso di dialogo incontrollato che manteniamo con noi medesimi, consiste nel “bis-pensiero”, di orwelliana memoria, ma utilizzato al contrario. Mi spiego. Nel libro di Orwell, “1984”, il bispensiero era un meccanismo psicologico indotto dalla propaganda per modificare il pensiero nonostante la realtà fosse diversa.

Il bis-pensiero nella vita di tutti i giorni è il cosiddetto ‘pensare positivo’ utilizzato – per esempio – come tecnica psicoterapeutica per i pazienti affetti da tumore. Nel senso che la realtà è tragica, ma il pensare positivo aiuta a combattere la situazione e, forse, a guarire. Tonnellate di psicologia-del-pensiero-positivo si sono abbattute inutilmente sulle nostre tragedie. A dirla tutta, qualcuno ha detto che pregare un dio funziona di più: si deposita da qualche parte il nostro problema.

Nell’accezione più utilmente pratica, invece, bisogna utilizzare il bis-pensiero per visualizzare una situazione (comprensiva di proiezioni e previsioni future) fatta di pro e contro. In una sorta di diagramma di flusso fornito di bivi decisionali sì/no (vd gallery). Insomma, preparare un grande Piano B, fatto di tanti piani B, in modo da non illuderci. Pare sia meglio affrontare un piccolo problema alla volta, visualizzandoci le alternative, che non alimentare un’unica enorme illusione.

Altro sistema, per colloquiare proficuamente con noi stessi, è la verbalizzazione scritta (non più mentale) dei nostri pensieri/desideri/cose-da-fare. Pare sia meglio della meditazione. Cacciare dalla nostra mente, attraverso la penna o una tastiera, gli eventi e le preoccupazioni, aiuta più che ore a cercare di non pensare all’orso bianco (concetto freudiano). Anche perché la scrittura è un sistema organizzato per correlazioni o per tempificazioni conseguenti o consequenziali.

Chi parla con se stesso, ha comunque la mente affollata di voci a caso. Mentre si lavora, emergono dubbi e imperativi rispetto ai panni stesi che si stanno bagnando, ovvero alla preoccupazione di uscire troppo tardi per fare rifornimento all’automobile, e altre cose varie, gravi o meno gravi.

Scrivere a fine giornata aiuta il sonno perché depositiamo altrove i nostri patemi. Come pure, listare le cose da fare aiuta la loro realizzazione, perché non siamo costretti a tenere in tensione la memoria per ricordare di ricordarci delle cose da fare. Ecco, una lista è importante, che sia sul post-it o su di un’app non importa. Basta solo tirarla fuori ogni tanto e fare ciò che c’è scritto.

Nella vostra lista, per favore, scrivete che il mercoledì c’è da leggere in «Orticaland» questa rubrica.

Alla prossima.

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Tag(s) : #La Cugina di Parascandolo
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